I datteri del deserto tunisino sotto scacco

di Martina Palazzo

©AICS Tunisi/2022/MPalazzo

Un tempo distesa di sabbia calpestata da carovane di nomadi, Rjim Maatoug è ora un’oasi rigogliosa e popolata tra le dune del deserto nel sud-ovest della Tunisia, al confine con l’Algeria. In quasi trent’anni, la terra di nessuno è diventata casa per oltre 1300 famiglie che vivono di agricoltura e commercializzazione dei datteri, gli stessi che finiscono sulle tavole degli italiani e di molti altri europei. Qui il deserto si è trovato di fronte ad uno STOP, un’intimazione tassativa voluta dal Governo tunisino che, insieme alla Cooperazione italiana, ha combattuto fortemente contro la sua avanzata per tre decenni. Nello scacchiere vita versus desertificazione, la prima vittoria ha registrato circa 2000 ettari di terra sottratti al deserto e devoluti alla produzione della palma da dattero, fonte di reddito per la popolazione dei sei villaggi creati nell’ambito del progetto italo-tunisino. Case, scuole, luoghi di culto, dispensari, servizi commerciali e amministrativi consentono oggi ai più di sei mila abitanti della regione di Rjim Maatoug di accedere ai servizi di base.

Tra le palme, in preparazione per l’impollinazione primaverile, Nabila El Kadhri continua le sue ricerche sul dattero. Lei, ingegnere agronomo e ricercatrice presso il Centro Tecnico dei Datteri a Kebili, collabora da anni con l’Ufficio di Sviluppo di Rjim Maatoug (ODRM), l’ente esecutore del progetto pluri-decennale. Una volta a settimana, percorre quei 115 km che separano il suo laboratorio dalla parcella pilota di sperimentazione all’interno dell’oasi. Le sue giornate lavorative sono fatte di scienza e di natura, di studio e di applicazione, ma soprattutto di una vera dedizione alla pianta che ha accompagnato la sua vita fin dall’infanzia. “Originaria di questa regione, ho scelto di dedicare le mie ricerche alla palma da dattero che per me significa casa, origini, ma anche vita. Qui, infatti, essa regna sovrana nell’ecosistema oasiano e permette alla popolazione locale di sopravvivere. Donne e uomini sono implicati nella produzione del dattero e di questo frutto vivono”, racconta Nabila. Nell’ombra confortevole delle foglie, insieme a collaboratori e collaboratrici, esegue i prelievi di suolo e terra, testa nuove tecniche di fertilizzazione e di irrigazione, si approccia in maniera sperimentale all’irrorazione del polline e alla potatura. Tutto questo all’unico scopo di trovare delle soluzioni ai problemi che minacciano la qualità e la quantità della produzione dei datteri e, conseguentemente, la sopravvivenza della comunità umana.

“Ci sono problemi ambientali, le condizioni climatiche sono ostili e le risorse sempre più rare e difficili da sfruttare. La siccità, il caldo e i venti di sabbia aumentano l’apparizione di malattie la cui manifestazione è sempre più frequente e dannosa. Se la produzione è a rischio un anno, l’agricoltore ha difficoltà ad affrontare la stagione seguente”, testimonia Nabila. “Attraverso le mie ricerche, voglio dar voce e rispondere alle istanze dei produttori.”

La lotta vita versus desertificazione è ancora aperta nel Sahara, la distesa di sabbia più grande al mondo. Di fronte al surriscaldamento globale e al calo delle precipitazioni, piante e animali delle zone desertiche sfidano i propri limiti di tolleranza di temperatura e aridità. La sabbia avanza quasi impercettibile agli occhi della gente comune. Il caldo e la siccità lasciano gli acari proliferarsi e danneggiare la linfa vitale delle piante. L’aridità colora di bianco il suolo salino. Le palme hanno sempre di più la testa nel fuoco e sempre meno i piedi nell’acqua.

“Finché esistiamo, dobbiamo combattere insieme contro il cambiamento climatico affinché l’ecosistema delle oasi continui a vivere e a nutrire la popolazione. Ciò richiede un’azione collaborativa tra le istituzioni, gli enti statali e di ricerca e la popolazione locale. Lottiamo insieme”, è l’appello di Nabila per lo scacco matto che chiuderebbe la partita della sopravvivenza qui nel profondo sud sabbioso della Tunisia.

 

Guardate la video-testimonianza di Nabila:

Il progetto di “Riabilitazione e creazione di palmeti da dattero a Rjim Maatoug” consiste nella creazione di circa 2500 ha di palmeto da dattero e nella realizzazione delle infrastrutture socio-economiche ed abitative necessarie per l’insediamento delle popolazioni locali. Iniziato nel 1984 con una prima fase sperimentale finanziata dal governo tunisino, ha proseguito fino al 2020 con il supporto finanziario dell’Italia per un importo totale di 23 milioni di euro.

Classificato nell’ambito delle iniziative di sviluppo rurale e lotta contro la desertificazione, il progetto è realizzato in partenariato con l’ODRM, struttura alle dipendenze del Ministero della Difesa Nazionale, creata nel 1989.

Sete d’acqua

Di Martina Palazzo

Ciò che rende il deserto bello è che da qualche parte nasconde un pozzo”, così scriveva Antoine de Saint-Exupéry nel suo celebre racconto. Evocava la preziosità di una risorsa vitale anche lì dove distese di sabbia si perdono all’infinito.

L’oro blu è un requisito essenziale alla vita sul pianeta e l’accesso ad esso è ormai una questione sociale ed economica. Senz’acqua nessuna società potrebbe perseguire un cammino di crescita, di progresso e persino di sopravvivenza. C’è un legame innegabile tra la disponibilità di risorse idriche e lo sviluppo umano, soprattutto di natura socio-economica. Basti pensare che sono proprio i Paesi con un basso PIL a soffrire di più di carenze d’acqua. Tecnicamente, si parla di stress idrico, ovvero di una situazione critica in cui le risorse idriche disponibili sono inferiori alla domanda. In altre parole, non c’è abbastanza acqua per soddisfare i bisogni della popolazione, la cui crescita demografica, le attività produttive e lo stile di vita consumistico pretendono di attingere compulsivamente alle riserve mondiali di acqua di superficie e sotterranea.

Ma questa carenza è anche esacerbata dalla fluttuazione delle precipitazioni, dall’inquinamento, dalla deforestazione, dal riscaldamento globale e dalle calamità naturali, come la siccità e le inondazioni. Una moltitudine di fattori che, in un mondo in rapido cambiamento e interconnesso, continuerà ad assetare sempre più persone, a meno che l’ottimizzazione dell’uso dell’acqua non diventi una priorità per ogni cittadino a tutti i livelli decisionali.

La Tunisia è soggetta a due climi, mediterraneo a nord e a est e sahariano a sud e a ovest, ed è un Paese in cui le risorse idriche sono fortemente minacciate. Con una doppia identità idrometeorologica, questo Paese è coperto per tre quarti di territorio da un ambiente arido o semi-arido. Qui la piovosità media annua è di soli 100 mm, nulla se si pensa che il tasso sbalza fino ai 1000mm in alcune zone del nord-ovest. Nelle regioni che confinano con il Sahara sono concentrate la maggior parte delle acque sotterranee profonde, esauribili perché provieniti da falde fossili. L’Intercalare Continentale e il Complesso Terminale sono le due riserve geologiche che hanno permesso nel corso dei secoli lo sviluppo di oasi, dove la presenza umana ha convissuto in simbiosi con l’ecosistema. Per più di un secolo, e soprattutto a partire dagli anni ’80, le trivellazioni hanno fortemente ridotto il livello delle riserve sotterranee. Dal canto loro, le risorse rinnovabili, distribuite principalmente nel nord e nel centro, sono invece soggette agli effetti di un clima vulnerabile e sempre più alterato dal cambiamento climatico. È uno scenario che porta ad un’unica conclusione: il bilancio idrico della Tunisia è in deficit. Infatti secondo l’ultimo rapporto del Water Resources Institute, è classificata al 30° posto su 164 (con una media di 410 m³ di acqua pro capite all’anno) nella categoria dei Paesi esposti a un forte stress idrico. Questo stress si intensificherà con l’accelerazione demografica che porterà ad un aumento della domanda di acqua per le attività economiche, di cui l’agricoltura è il settore più avaro (80%), e per l’acqua potabile. Lo sfruttamento eccessivo, inoltre, può anche provocare la deteriorazione della qualità dell’acqua fino al suo inutilizzo per il livello di salinità troppo elevato.

Nel sud della Tunisia, l’oasi gioca un ruolo economico importante considerato il suo statuto di datore di lavoro agricolo per la maggior parte dei lavoratori. Di fronte ai limiti e alle vulnerabilità del capitale idrico della Tunisia di oggi, la sostenibilità di questo ecosistema dipende essenzialmente dalla gestione razionale del suolo e delle risorse idriche.

A Tozeur, nell’ambito della strategia nazionale di lotta contro la desertificazione, l’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo sostiene la buona governance delle risorse naturali per migliorare le condizioni di vita della popolazione delle oasi. Con un finanziamento di circa 5,1 milioni di euro, il “Progetto integrato di sviluppo rurale nelle delegazioni di Hezoua e Tamerza“, realizzato dal Commissariato Regionale per lo Sviluppo Agricolo di Tozeur, interviene in 18 oasi per rafforzare lo sviluppo locale partecipativo, proteggere, migliorare e diversificare la produzione dei perimetri irrigati di fronte alle nuove sfide ambientali.

In particolare, in collaborazione con il Centro Regionale di Ricerca per l’Agricoltura delle Oasi di Degueche, il progetto ha realizzato due studi sull’applicazione di una tecnica di irrigazione localizzata appositamente studiata per ridurre il fabbisogno idrico e il consumo energetico. Una volta diffusa tra i contadini dell’oasi, la tecnica permetterà di ottimizzare maggiormente l’uso dell’acqua e di combattere l’avanzata del deserto.

 

Anche se lo stress idrico minaccia la sicurezza alimentare e lo sviluppo economico della Tunisia, una gestione più razionale dell’acqua è ancora possibile. È necessario monitorare la situazione, affidarsi alle innovazioni tecnologiche, perseguire approcci integrati, ma soprattutto capire la bellezza di un pozzo in mezzo al deserto.